Una sera come tante
Questo racconto personalizzato è stato realizzato per il compleanno di un papà davvero super dalla moglie Ilaria. Umberto, tra i cui interessi c'è la fantascienza, è uno di quei bravi papà che si occupa dolcemente della famiglia, senza far mai pesare i propri problemi. La gratitudine di Ilaria e delle bimbe ha dato vita al racconto, che svela con sentimento ed ironia quanto eroismo si nasconda nelle piccole cose e nei momenti quotidiani, come una serata a guardare un cartone animato in famiglia.
UNA SERA COME TANTE
ovvero
Trenta minuti da miglior papà del mondo
Era una sera come tante a casa di Umberto. Era quasi l’ora dei Puffi, la moglie Ilaria si asciugava i capelli, Gloria stava costruendo un servizio da tè in puro Didò che avrebbe presto sostituito quello di casa e Dalila disegnava con le mani impiastricciate con tanta sapienza che Leonardo da Vinci in persona non avrebbe potuto fare di meglio.
Umberto leggeva serenamente il giornale in salotto, quando di fronte a lui comparve dal nulla la malefica Zucca Marucca, eroina spaziale del pianeta Grisù. Eroina, in effetti, lo era solo per i grisuviani, mentre per il resto della galassia altro non era che una fastidiosa spaccona, che non aveva altro hobby che girare per i pianeti e rapire le persone col suo raggio congelante, risvegliandole poi su Plutone per vedere che faccia facessero.
Umberto, intuito il pericolo, fu subito in piedi e, con una tecnica appresa direttamente da Angus MC Giver, colpì ripetutamente con l’indice la batteria del cellulare, trasformandolo in un cannone ultrasonico antizucca! Fece per puntarlo sulla nemica ma... troppo tardi! La perfida intrusa era corsa via salendo le scale quattro per volta. Dal fatto che, nel soggiorno di casa, non ci fosse normalmente nessuna scala, Umberto intuì che la grisuviana si era infilata in un varco spazio-temporale.
Capirete da voi che, dopo essersi visto di fronte, in casa propria, una zuccaccia assetata di scherzi di pessimo gusto, a pochi metri di distanza da tutte e tre le donne che più amava al mondo, e ritrovandosi per di più un ponte di Einsten-Rosen aperto in pieno salotto, il nostro eroe non poteva certo lasciar correre.
Si rivolse alla moglie Ilaria nell’altra stanza e, per non metterla in allarme, disse con voce ferma: «Ilaaaaaa, esco un secondo a comprare latte, biscotti, brioches, torte, torte salate e pizza. Torno subito.»
Ma non sentì la risposta, perché si era già lanciato nel varco all’inseguimento della scia arancione lasciata dalla zucca Marucca.
Finite le scale, sbucò in prossimità di un buco nero e, improvvisato un respiratore con una penna Bic e un sacchetto del pane, iniziò a nuotare nello spazio come se lo avesse fatto da sempre. In pochi metri fu addosso alla Zucca Marucca, la agguantò per il picciolo e le assestò un paio di ceffoni in piena buccia, giusto per farle capire chi comandava.
Ma non fece in tempo a interrogarla perché la malnata, per nulla spaventata, riuscì a divincolarsi e a saltare su un’astronave giallo canarino, voltandosi continuamente come per assicurarsi di essere seguita!
Che macchinasse qualcosa? L’unico modo di scoprirlo era chiederlo direttamente all’interessata. Umberto nuotò ancora rapidamente verso di lei ma, giacché da che mondo è mondo un’astronave viaggia a una velocità media ben superiore a quella di un essere umano, questa volta la zucca ebbe la meglio e svanì lentamente all’orizzonte.
Il nostro eroe, un poco scoraggiato, tuttavia proseguì, deciso a trovare un bivacco spaziale a cui chiedere indicazioni su come intercettare la Marucca o, al limite, lo stesso pianeta Grisù. Le stelle in base a cui avrebbe dovuto orientarsi, tuttavia, parevano modificarsi continuamente come dei miraggi, e improvvisamente fu preso da una crisi di sonno. Avrebbe voluto cercare una piazzola di sosta, ma si rese appena conto che, nel luogo in cui si trovava, non vi erano piazzole, né strade, e in fin dei conti chissà dove si trovava...
Quando aprì gli occhi, si trovò in un comodo lettuccio di legno e non ricordava esattamente nulla di quel che era accaduto. Attraversò la stanza di legno che produceva ad ogni passo un allegro scricchiolio e, aprendo la finestra, scoprì di trovarsi sul versante di un monte che dava su una valle ridente. Il sole caldo gli accarezzava le mani e, nel grande prato sotto la finestra, vide Gloria e Dalila che lo salutavano chiassosamente agitando le braccia.
Che giornata stupenda! Ilaria entrò nella stanza in vestaglia e gli accarezzò le spalle, invitandolo a tornare a letto. Non era una brutta idea: in effetti era ancora stanco, anzi a ben pensarci si era sempre sentito stanco, dal giorno in cui erano arrivati in montagna… Umberto si fermò improvvisamente. Ma quando erano arrivati in montagna? E dove si trovava? La sua mente non trovava alcuna risposta! Dunque si trattava di un’illusione?
Preso da un atroce sospetto, scese la scala correndo e si trovò... nel salotto di casa di Rozzano.
Ilaria era nell’altra stanza, stava usando il phon e la sentì rispondere: “Ok, a tra poco! Ma non esagerare coi biscotti che ne abbiamo ancora.”
Di colpo ricordò tutto. La Zucca Marucca! Sicuramente si era trattato di un suo trucco! L’aveva attirato in una dimensione spaziale Omicron, cosiddetta “dell’oblio”, dove le galassie e le costellazioni divengono tanto piccole da penetrare nella struttura atomica di chi vi si trova, producendo allucinazioni che possono durare anche tempi moto lunghi. Immobilizzandolo lì, la zucca aveva trovato un modo di sviare completamente il suo inseguitore.
Riavutosi dall’illusione, Umberto doveva essere incocciato in un altro cunicolo di tarlo che lo aveva riportato nel salotto, pochi istanti dopo la sua prima partenza. I varchi temporali, si sa, piovono sempre sul bagnato: non fai in tempo ad aprirne uno che eccone apparire chissà quanti altri, sempre nello stesso punto...
Questo, tuttavia, gli dava una seconda chance: il primo varco era ancora lì ed egli non aveva perso che pochi secondi! Di nuovo vi si buttò a capofitto salendo la scala e sbucò nello spazio aperto in prossimità del buco nero. Alzò la testa e vide una figura inaspettata davanti a sé. Istantaneamente si rese conto di trovarsi alle spalle di... sé stesso!!
Il suo sé passato stava nuotando atleticamente nello spazio, aveva raggiunto la zucca, le piazzava i due sonori ceffoni, se la lasciava sfuggire, veniva seminato dall’astronave, perdendo infine i sensi nella dimensione Omicron.
Questa volta però, non si sarebbe lasciato irretire dai trucchi dell’ortaggio! Applicando una Big Babol alla suola di una ciabatta, costruì una piccola astronavetta con cui inseguì, non visto, la nave gialla della Zucca Marucca fino al suo rifugio, che si trovava in fondo al mare più profondo del pianeta Grisù.
Umberto aspettò che la Marucca andasse a farsi una doccia ed entrò con circospezione. In pochi passi si ritrovò all’interno di una stanza oscura, permeata da un’inquietante luce rossastra. Attirato da una miriade di piccole immagini appese alle pareti, si fece vicino per guardare e... orrore! Erano tutte foto di facce spaventate, con i tipici occhioni spalancati di chi viene colpito da un raggio congelante, sottratto alle occupazioni quotidiane e infine svegliato su Plutone per il solo sollazzo di una zucca senza cuore.
Percorrendo la parete, scoprì un’altra serie di scatti che immortalavano, invece persone dall’espressione tranquilla: certamente i futuri bersagli che l’infame zucca si preparava a colpire! Il sangue prese a scorrere più forte nel nostro eroe quando riconobbe le immagini di Ilaria, Gloria e Dalila. Questi grisuviani non sapevano con chi avevano a che fare!
D’improvviso la luce si accese.
«Brifstosne rigadelpof!» fece il marito della Zucca Marucca, che si presentò in vestaglia e per poco non perse la pipa dalla bocca.
«Tripighel pot!!» urlò.
Un attimo dopo quattro forti braccia meccaniche avevano immobilizzato Umberto, chiudendolo in una cella a chiusura stagna sul fondo dell’oceano più profondo del pianeta Grisù.
A casa, intanto, probabilmente Gloria aveva già finito di produrre il nuovo servizio da tè e chiedeva soavemente alla mamma quanto mancasse all’inizio dei cartoni: non rimaneva molto tempo.
Nel silenzio della stanza, lungi dal perdersi d’animo, Umberto escogitava una strategia per liberarsi: avrebbe potuto buttarla sulla competizione e sfidare la Zucca Marucca ai dadi, o meglio ancora a una gara di formule matematiche, campo in cui, modestamente, se la cavava niente male.
Ma si interruppe di colpo, sentendo come un formicolio al centro del petto: «Ilaria!»
Concentrandosi telepaticamente si rese conto che la sua amata moglie aveva bisogno di lui! Il nostro eroe non esitò un solo istante: si tolse l’otturazione di un dente, sfruttò dei laser ornamentali che guarnivano la stanza e, con la fibbia della cintura, improvvisò un piccolo portale spazio temporale. Era tanto minuto che, anziché saltarci dentro, dovette sdraiarsi e infilarcisi dalla testa aiutandosi coi gomiti. Il risultato, però, fu ineccepibile: in piena coerenza con le leggi cosmiche di allocazione dei ponti Einstein-Rosen, si ritrovò nel mezzo del suo salotto, che ormai era un vero e proprio colabrodo spazio temporale.
«Dopo la zucca e le mensole della cantina, dovrò sistemare anche questi» borbottò Umberto numerando i varchi temporali con le dita della mano, mentre si alzava e andava a passo svelto verso la camera.
Ilaria aveva appena messo via il phon e lo guardava come aspettando una risposta. Umberto capì di essersi perso l’inizio del discorso, ma intuì buona parte del problema che affliggeva la donna:
«Capisci? E io allora cosa dovevo fare? Niente?» Disse lei in tono di sincero dispiacere. Umberto si avvicinò a Ilaria e l’abbracciò dolcemente, senza dire nulla per diversi minuti.
«Domani ho mezza giornata di permesso» soggiunse con voce profonda «se vuoi vado io a prendere le bimbe e tu ti rilassi un po’.»
Ilaria alzò la testa e si aprì in un sorriso.
«Secondo me sei solo un po’ stanca e così sembra tutto più grave» continuò lui abbracciandola». Ilaria era commossa. Gli diede un bacio pieno di gratitudine. Umberto sorrideva con gli occhi.
Poi alzò le spalle inspirò forte, come se avesse dimenticato una cosa importantissima:
«Uh! Il portafogli! Devo averlo lasciato in macchina. Arrivo arrivo!» disse e uscì di fretta dalla stanza. Aiutò solo per un istante Dalila, che voleva lavarsi le mani ma non arrivava al portasapone del bagno, quindi filò dritto verso il salotto e, con un tuffo da vero campione, si infilò direttamente nell’ultimo varco temporale, da cui era uscito poc’anzi.
Per via di un’interferenza – probabilmente data dal fatto che il maggiordomo di casa Marucca, spolverando, aveva alterato le sequenze di ioni del ponte temporale testé aperto nella camera stagna – anziché in quest’ultima, Umberto si ritrovò in un’altra cameretta, dove dormivano beatamente due piccole zucchine marucchine. Ma allora anche la perfida Zucca aveva un punto debole!
Esultando, Umberto scovò una piccola Polarù, macchina fotografica in gran voga sul pianeta Grisù, e fece due o tre scatti a ciascuna delle piccole zucche.
Uscì dalla stanza, sfondò con un calcio volante la porta del laboratorio della Marucca impadronendosi del raggio congelante, quindi si diresse rapidamente verso la camera oscura. Appese le fotografie appena scattate accanto a quelle delle sue figliolette, quindi si sedette nella penombra di un angolo, aspettando.
La Zucca Marucca, finita la doccia, entrò nella stanza per rilassarsi un po’ prima di cena, contemplando le foto delle sue vittime. Si soffermava su ognuna sghignazzando sonoramente... ma quando giunse alle ultime, si fermò di colpo, come pietrificata!
La voce di Umberto ruppe il silenzio: «Cosa ne diresti di una congelatina per tutta la famiglia e poi di una gita su Plutone?»
La zucca si voltò, attonita. Era molto spaventata non tanto per sé, quanto per le sue figliolette. Il gusto dello scherzo, ora che il terribile raggio puntava dritto su di lei, le era passato completamente. Rimase in silenzio per un lungo momento e poi scoppiò a piangere, giurando che non avrebbe mai più rapito nessuno e che d’ora in poi si sarebbe dedicata esclusivamente alla cura dei bonsai.
Il pentimento della Marucca aveva tutta l’aria di essere sincero e il bravo Umberto, sentendo scemare il rischio per le sue donne di casa, provò una sincera compassione per l’antica nemica. Non sapendo bene che fare, le diede una pacca sulla spalla tanto affabile che quella rischiò di rotolare via.
Quindi mise la sicura al raggio congelante e, giusto perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, se lo fissò per bene in tasca. Staccò dal muro le foto di Ilaria, Gloria e Dalila e, raccomandatosi un’ultima volta con la zucca, ancora commossa, di non farsi più trovare nel suo o in altri salotti, trotterellò allegramente verso l’apertura temporale.
Una volta a casa, estrasse il raggio e congelò uno ad uno tutti i wormhole del salotto, con estrema attenzione a non dimenticarne nessuno, mica che ci cadesse una bambina e si dovesse andarla a recuperare chissà dove. Con poche martellate, li mandò in frantumi fece sparire velocemente i cocci con scopa e paletta.
«Tutto ok?» chiese Ilaria, sentendo il rumore dal bagno.
«A posto cara, mi è scivolato un bicchiere ma ho già sistemato»
«Bambine! Dai che iniziano i Puffi!» continuò.
In una frazione di secondo Dalila e Gloria arrivarono correndo e si lanciarono sul divano. Di lì a poco comparve anche Ilaria sulla soglia. Era proprio bella! Lanciò a Umberto un sorrisone e, passandogli accanto, gli prese la mano trascinandolo verso il divano.
Le bambine sedettero loro in braccio e Umberto tirò sopra tutti una copertona calda. Era una sera come tante, piena di calore e di quella semplicità che rende ogni giorno davvero speciale.